Massimo Duranti
Schivo, introverso, indipendente, innamorato della pittura per la pittura che rappresentava però anche il suo media privilegiato per comunicare al mondo le sue sensazioni sul mondo; Gustavo Benucci mostra nella sua personalità, meno negli esiti, precise affinità con Gerardo Dottori. E non è allora un caso che fosse proprio il maestro dell'Aeropittura a tenerlo a battesimo, ventenne, con una presentazione alla Galleria Nuova di Via Mazzini a Perugia nel 1947. Quindici anni dopo, da Forte dei Marmi, il buon Gerardo, che era generoso coi giovani, ma difficilmente si sperticava in elogi, scrive all'artista perugino, che nel frattempo aveva bruciato le tappe della sua carriera con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1950 e alla Quadriennale di Roma del 1951, poche ma significative espressioni sull'importanza per un artista di essere soprattutto se stesso, indipendentemente da influenze estranee; qualità che si era sempre vantato di possedere e che rinveniva nell'esperienza di Benucci.
In quel periodo Dottori continuava la sua coerente declinazione dell'Aeropittura, a costo di apparire anacronistico, mentre i suoi colleghi si erano già avviati verso lidi astratto-materici, più evoluti, catartici rispetto alle ingombranti ombre del Ventennio. Anche Benucci, in effetti, continuava a seguire il senso della "sua" pittura che percorreva, magari in senso contrario, le tendenze della ricerca che in quegli anni di affannosa ansia del nuovo gli artisti erano costretti a inseguire per essere graditi alla critica. La natura come elemento vitale, con i suoi umori e nelle sue multiformi apparizioni nella luce e con la luce, rappresenta una costante forte nel dispiegarsi dell'espressività di Benucci.
E' così nelle sue esperienze degli anni Cinquanta in cui la figurazione è costretta in geometrizzazioni neocubiste, ma con una tavolozza molto ampia di scarti cromatici che assicurano vibrazioni suggestive. La stessa analisi vale per alcuni dipinti realizzati a cavallo fra il 1958 ed il 1962 dove la figura scompare fra le trame geometriche che si stingono o, in poche altri casi, si rapprende nella materia corposa, informale.
Quando poi nei tardi anni Sessanta il reale si distende libero da costrizioni, la natura è ascoltata a tutto volume e si rivela all'artista ricca di cromie forti, contrastata da robusti impatti di luce.
Verso la metà degli anni Settanta nell'ambiente naturale di Benucci compare sempre più cogente l'uomo, accompagnato spesso dai rifiuti del suo consumismo.
Una denuncia di violenza che solo apparentemente si può assimilare al realismo guttusiano.
Ma l'artista, che dimostra anche un buon eclettismo, ci ha lasciato anche felici esiti di produzione architettonica, per non parlare della ritrattistica e della grafica, ricca di segni efficacissimi.
Questa mostra a Perugia, dopo le pur significative rassegne degli anni Ottanta, mette alfine ordine alla vasta produzione di Gustavo Benucci che, pur isolato per scelta, ha una sua precisa collocazione nella storia della contemporaneità artistica umbra, senza dimenticare le significative presenze nel panorama artistico italiano.
[1992]